venerdì 24 agosto 2012

Il sindacato o la morte!


Il sindacato o la morte!

Dicono che i lupi non si mangiano a vicenda.


Ho molto poco conoscenza personale sulle abitudini di tali animali nel potermi permettere di credere che questo detto è meno idiota rispetto alla maggior parte dei detti. Se, per caso, fosse esatto, per noi non dimostra altro che più di una cosa: che tra uomini e lupi, benchè vi siano differenze zoolog
iche, vi è anche una differenza di appettito.
E' probabile, e sta sicuro, che la civiltà, così meravigliosamente favorevole allo sviluppo dei nostri istinti più selvaggi, abbia distrutto gli scrupoli della nostra ferocia che tenevano in comune, in tempi migliori, con i lupi. Ma al momento noi non siamo, ahimè, in un cannibalismo volgare; che ci si accontenta solo di uccidere, tagliare [i pezzi], cucinare e digerire la carne umana. Tali procedure sono stati relegati a certe latitudini tropicali, nella quale,anche se sembra essere una pratica in diminuzione, continua ad essere applicata.

Nel nostro caso, nei buoni paesi ricchi, dove il progresso avanza a grandi passi, noi divoriamo con ingordigia i cibi [preparati e che perdiamo il sapore di essi. Noi] possiamo cucinare in mille modi più facile,se non addirittura più piacevoli [per assaporarne il gusto].

Però,naturalmente e come nelle altre manifestazioni della mentalità progressista, è il lavoratore, il proletario che marcia sempre in testa. I sovrani, i finanziatori e i borghesi non si vergognano a mangiarsi fra di loro. Tuttavia, sia perchè un gusto poco ingordo per un alimento che è stato esposto troppo tempo prima di essere servito, sia perchè mangiano dal popolo tutto quello che produce, in alcuni casi mostrano una preferenza nel dare gli avanzi

Il proletario, da parte sua, non ha di questi scrupoli. Amano tutte le salse e, nel bene o nel male, stagionato, giovane o vecchio, tenero o duro, maschio o femmina, mangia con un appetito che è praticamente anche l'unico testimone crescente di stima del quale si dispone.Vanno in città o in campagna, entrano in fabbrica, in laboratorio, in ufficio, ovunque, insomma, che ha costretto i lavoratori poveri ad ingrossare ostinatamente le fortune di un padrone; in tutti i lati constateremo che oltre l'ardente desiderio di conquistare e mantenere la stima del padrone, avremo anche il sentimento esteso della lotta contro i compagni di lavoro o di miseria.

Diciamo la verità, il proletariato è orgoglioso della sua schiavitù? Sei veramente felice della tua meschinità? Vorremmo saperlo. In ogni caso, il lavoratore è sempre più ferocemente geloso di chiunque, a pari grado, condannato alla stessa catena [di montaggio in cui lavora]; ha cercato di rompere i legami e guadagnare qualche conforto o la libertà. C'è qualcuno che non si rifiuta di stare in una casa sudicia o un quartiere appestato? Si preferisce dei bei vestiti alle uniformi di lavoro? Il materiale intellettuale eleva e raffina i suoi gusti? Ma infine, soprattutto, procura di liberarsi di tutta la dominazione padronale per lavorare solo per la propria volontà? Immediatamente, quasi ovunque nei ranghi dei suoi fratelli, si eleva un grido di odio furioso.

Chi sono quegli altri, che protestando contro il lavoro imposto o per testimoniare il loro disgusto per la vita domestica e si rifugiano nella privazione di tutti per non lavorare, e si autocondannano a notti senza tetto, giorni senza cibo e stare senza vestiti durante i nubifragi? Contro questi, i loro compagni di catena lanciano gridi di odio furiosi.

Non è una cosa, insomma, per i lavoratori, guadagnare un principio di libertà od ottenere una fugace felicità nè col lavoro libero nè con l'ozio occasionale; nè in meglio nè in peggio. Dovrebbe restare dove sta; in fila, sotto l'occhio e la mano del maestro, sottomesso, con pazienza, come i compagni ... e non andare via! Volentieri avrebbero immaginato che la schiavitù è ancora accettata, il lavoro salariato accettato, il giogo comune senza risposta sostenuto; che il lavoratore, in breve, in tali condizioni, incontra nei suoi compagni una certa simpatia, una maggior solidarietà, una compensazione maggiore o meno grata alla sua parte consentita di miseria dei loro coetanei; più solidarietà, una compensazione più o meno gradita alla loro miseria.

Presupposto ingenuo!

I lavoratori non sono solo spietati e che tendono a salire di rango per elevarsi, per godere o per soffrire, ma mantengono il dolore fra di loro. Fare il maestro o il caposquadra necessità di guardia, sorveglianza, polizia, difesa contro uno o più dei suoi schiavi? Nove volte su dieci non troverà altro che fedeli custodi, vigilanti più attivi, gli agenti più zelanti, i difensori più ardenti dei colleghi più sfortunati di essi. Denunciano ogni giorno, per ragione o anche per questioni futili, all'amministrazione e alla compagnia dove lavorano. Tali ladri e tali mascalzoni non sono attenuati dalle infamate vigliacche dei loro padroni: quindi non si giustifica tale codardia.
A volte si sente dire che il disgraziato, il lavoratore, è impotente e irritato per il continuo e inutile sforzo nell'arricchirsi per sè in quanto arricchisce solo il padrone, che non potrà mai raggiungere.

Si può andare molto lontano con una tale teoria!

I lavoratori non si aiutano, poichè può essere dannoso; è innegabile. Almeno questo accade nella pratica, che è essenzialmente seria. Per difendere un simile atteggiamento, tutte le ragioni per immaginare sono malvage. Con la scusa della liberazione, il proletariato al momento dà un esempio doloroso della sua testardaggine dalla servitù e del suo desiderio feroce di tenere imprigionati i propri figli in queste maglie di autoritarismo.

Il proletariato si forgia una catena nuova e più pesante,creando così il proseguimento passato di un potere imposto, fondato su un padronato più intrattabile e su un'autorità più tirannica. Il sindacato è, per il momento, l'ultima parola degli imbecilli e, al tempo stesso, la ferocia proletaria. Questo nuovo sistema di mutua macellazione si diffonde attraverso il mondo dei lavoratori. E la compiacenza dei poteri pubblici e privati nel non contrastarla più, sta tutto in una logica perfetta. I sindacati disciplinano con una forza tale, che essi diventano un esercito del lavoro con i loro adepti e, nel bene e nel male, i migliori guardiani del Capitale. In una tornata elettorale, un lavoratore della tipografia è venuto ad annunziare dalla cima di una tribuna che tutti i lavoratori non sindacalizzati erano i nemici del proletariato, falsi fratelli con il quale non bisogna aver alcun riguardo o pietà. E la folla applaudiva freneticamente per costui. Questi lavoratori possono morire di fame, malattia, miseria.
I compagni e le personalità di rilievo che aiutano costoro,sono oggetto dell'indignazione pubblica.

Da qui la frase: IL SINDACATO O LA MORTE

Tuttavia ancora non siamo a questi livelli ma ci manca poco. E se saremo ancora ciechi, sarà imposta senza remissione.
E' questa quella che mancava, in realtà, per completare la farsa triste dell'emancipazione ingannatrice da cento anni. D'altra parte, il minimo che ci si può aspettare di dire qualcosa al giorno d'oggi è quello di essere definito un cretino nella materia di storia o un mulo nella materia dell'economia sociale.

Praticamente: o ci si lascia divorare dal Capitale o ci si lascia divorare dall'altro (e, per il momento, si completano) e di conseguenza non potremo pretendere molto da costoro nel liberare il proletariato.

Si decideranno a provare qualcosa di diverso?
Albert Libertad (1906)

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