sabato 3 novembre 2012

DELLA VIRTÙ DONATRICE




1.

Quando Zarathustra ebbe preso congedo dalla città che il suo cuore amava e il cui nome era: «la Giovenca Variopinta» – molti di quelli che si dicevano suoi discepoli lo seguirono facendogli scorta. Giunsero così ad un quadrivio: allora Zarathustra disse loro che desiderava proseguir solo, poichè amico del cammino solitario. Ma i suoi discepoli, nel congedarsi da lui, gli 
offrirono un bastone la cui impugnatura d'oro era un serpente attorciliantesi intorno al sole. Zarathustra si rallegrò del bastone e vi si appoggiò; parlò quindi così ai discepoli:
Ditemi dunque: perchè l'oro divenne il più alto valore? Perchè è raro ed inutile e risplendente e dolce nel suo splendore; e sempre si dona. Solo quale imagine della più sublime virtù l'oro crebbe in tanto pregio. Simile all'oro risplende lo sguardo di chi dona. Lo splendore dell'oro conclude la pace tra il sole e la luna. Rara ed inutile è la più alta virtù, essa risplende e con dolce bagliore: una virtù che dona è la virtù sublime. In verità, vi leggo nell'anima, o discepoli miei; voi aspirate, come me, alla virtù donatrice. Che cosa avreste voi di comune coi gatti e coi lupi? La vostra sete è questa, divenire voi stessi olocausti e doni: per ciò avete sete di ammucchiare ricchezze nell'anima vostra. La vostra anima cerca insaziabile tesori e gioielli, perchè la vostra virtù è insaziabile nel voler donare.
Voi costringete tutte le cose a venire a voi ed in voi, affinchè dalla vostra sorgente scaturiscano come doni del vostro amore.
In verità un tale amore che dona deve diventare un ladro di tutti i valori; ma sano e santo io chiamo questo egoismo.
Vi è però un altro egoismo, meschino, affamato, che vuol rubar sempre, l'egoismo dei malati, l'egoismo morboso.
Con gli occhi del ladro esso mira tutto ciò che splende; con l'avidità della fame misura chi ha un lauto pranzo; e sempre si aggira intorno alla mensa del donatore.
Un tal desiderio rivela malattia ed invisibile degenerazione; in questo egoismo la brama di rubare testimonia un corpo malato.
Ditemi, fratelli: che cosa significa per noi cattivo e pessimo? Non è forse questo degenerazione? – E noi sospettiamo la degenerazione dove manca l'anima che dona.
Il nostro cammino conduce in alto, dalla specie ci guida alla superspecie. Ma a noi ripugna il senso degenerato che dice: «Tutto per me».
La nostra aspirazione vola in alto: essa è un'imagine del nostro corpo, un'imagine di elevazione. E imagini tali sono i nomi delle virtù.
Così passa il corpo attraverso la storia, un essere che diviene e che lotta. E lo spirito – che cos'è per il corpo?
È l'araldo delle sue lotte e vittorie, eco e compagno.
Simboli sono tutti i nomi di bene e di male; essi non esprimono, accennano solo. Folle chi da loro vuol conoscenza.
Attenzione, o fratelli, alle ore in cui il nostro spirito vuole parlare per simboli: questa è l'origine della vostra virtù.
È allora che il corpo vostro si solleva e risorge; nella sua gioia egli sprona lo spirito a farsi creatore e amante e benefattore di tutte le cose.
Quando il vostro cuore fluttua largo e pieno, simile a un fiume, benedizione e minaccia per gli abitatori delle rive: ecco l'origine della vostra virtù.
Quando vi sentite superiori alla lode e al biasimo, e la vostra volontà vuole imporsi a tutte le cose, come la volontà d'un amante: ecco l'origine della vostra virtù.
Quando voi disprezzate le cose piacevoli e il molle letto, e non sapreste coricarvi mai abbastanza lontano dagli effeminati: allora ha origine la vostra virtù.
Quando non siete più che una volontà sola, e questo mutamento di ogni pena si chiama per voi necessità: allora ha origine la vostra virtù.
In verità, essa è nuovo bene e male novello! È un nuovo fluttuare profondo, la voce di una nuova sorgente! Essa è potenza, questa nuova virtù: un pensiero dominante e attorno ad esso un'anima accorta: un sole d'oro e intorno il serpente della conoscenza.


2.

Qui tacque Zarathustra, per un poco, e con amore guardò i suoi discepoli. Poi riprese a parlare: – e la sua voce suonava mutata.
Restate fedeli alla terra, miei fratelli, con la forza della vostra virtù. Il vostro amore che dona e la vostra conoscenza giovino al senso della terra! Ve ne prego e ve ne scongiuro.
Non permettete ch'essa voli lontano dalle cose terrene e vada a batter con l'ali contro eterne pareti! Ahimè, ci furono sempre tante smarrite virtù!
Come me, riconducete alla terra la smarrita virtù – sì, di nuovo al corpo e alla vita: affinchè dia alla terra il suo senso, un senso umano!
In cento modi si smarrirono e falsaron finora lo spirito e la virtù. Ah, abitano ancora in noi le illusioni e gli errori: sono divenuti corpo e volontà!
In cento tentativi e in cento errori si smarrirono finora lo spirito e la virtù. Sì, l'uomo fu un tentativo. Ah, quanta ignoranza e quanti errori divennero carne nostra!
Non soltanto la ragione dei millenni – anche la loro follia influisce su di noi. È pericoloso essere eredi.
Noi combattiamo ancora, a passo a passo, col gigante Caso, e sopra l'intera umanità dominò finora l'assurdo e il senza senso.
Il nostro spirito e la nostra virtù servano al senso della terra, o fratelli: e sia di nuovo imposto da voi un valore alle cose. Siate perciò combattenti! Siate perciò creatori!
La conoscenza purifica il corpo e l'inalza; esso si eleva cercando con sapienza; per colui che conosce si santificano tutti gli istinti; l'anima di colui che si eleva diviene gioconda.
Medico, cura te stesso: gioverai in tal modo anche al tuo ammalato. Sarà il suo migliore soccorso, vedere coi propri occhi ch'egli sa guarire sè stesso.
Vi sono mille sentieri che non furono ancora calcati, mille porti e mille isole nascoste della vita. Inesausti e inesplorati sono ancora sempre l'uomo e la terra dell'uomo.
Solitari, vegliate e ascoltate! Dall'avvenire giungono venti con misterioso battere d'ali; e per le orecchie delicate giunge la buona novella.
O solitari dell'oggi, o voi che state in disparte, sarete un popolo, un giorno: da voi vi sceglieste, e da voi sorgerà un popolo scelto: e da questo il superuomo.
In verità, la terra deve ancora mutarsi in luogo di salute!
E già le spira d'intorno una nuova fragranza, che annuncia salvezza, – e una nuova speranza!


3.

Quando ebbe detto ciò, Zarathustra si tacque, come uno che l'ultima parola non ha ancor pronunciata; a lungo fece tentennare esitando nella mano il bastone.
Alla fine parlò così – e aveva la voce mutata.
Solo, vado adesso, miei discepoli! Anche voi partitevi soli! Io lo voglio.
In verità vi consiglio: andate lontano da me, difendetevi da Zarathustra! Meglio ancora: di lui vergognatevi!
Forse egli vi ha ingannato.
L'uomo che sa non deve soltanto amare i propri nemici, ma pure odiare gli amici.
Rimerita male un maestro chi resta suo discepolo, sempre. E perchè non vorreste voi strappare la mia corona? Mi siete devoti; ma che cosa accadrebbe se crollasse un giorno la vostra venerazione? Badate, a che non v'uccida una statua!
Voi dite d'aver fede in Zarathustra? Ma che importa di Zarathustra? Voi siete i miei fedeli: ma cosa importano tutti i fedeli del mondo!
Voi non v'eravate ancora cercati: allora mi trovaste.
Così fanno tutti i credenti: perciò le credenze hanno scarso valore.
Ora vi chiedo di obliarmi e di cercar voi; e soltanto allorchè tutti m'avrete rinnegato, io tornerò fra di voi.
In verità, miei fratelli, con altri occhi cercherò allora quelli che ho smarrito; vi amerò d'altro amore.
E un giorno ancora voi sarete i miei amici e i figli di una sola speranza; allora sarò fra di voi, la terza volta, per celebrare con voi il grande meriggio.
E sarà il grande meriggio, quando l'uomo si troverà a mezza strada tra il bruto e il superuomo, e celebrerà il suo tramonto come la sua più grande speranza: giacchè questa via conduce a un'aurora novella.
Il perituro benedirà allora sè stesso, perchè è uno che sa passar oltre; e il sole della sua conoscenza sarà nel suo meriggio.
«Tutti gli dèi sono morti: noi ora vogliamo che viva il superuomo» – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà!
Così parlò Zarathustra.


PARTE SECONDA

«... e soltanto allorchè mi avrete tutti rinnegato, io tornerò fra di voi.
In verità, miei fratelli, con altri occhi cercherò allora quelli che ho smarrito; vi amerò d'altro amore ».
Della virtù donatrice (I. p. 124).
F. Nietzsche

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