martedì 18 dicembre 2012

BREVIARIO DEL CAOS (parte quinta)



BREVIARIO DEL CAOS
(parte quinta)


Per un paese che fa la Storia, ce ne sono più di venti che la subiscono, e in questi venti ogni partito, quale che sia, è il partito dello Straniero, si proclamasse pure nazionalista. Le nazioni che non fanno più la Storia non comprendono ciò che sta accadendo loro, il caos è il loro destino, le loro glorie non glielo evitano, così come le loro virtù non le premuniranno dal piombare in quello stupore che è la loro sorte. Le poche nazioni rimaste indipendenti si accollano il futuro del mondo, potevano molto un tempo, potranno sempre meno. Il ruolo della fatalità si accentua e lo stupore è l'ombra che essa getta: un giorno la loro sorte sarà la stessa della maggioranza dei popoli, la loro forza non servirà a nulla, il loro privilegio sarà soltanto immaginario, la Storia, insomma, diventerà la passione di tutti. Quanti anni ci vorranno, fra quanto tempo saremo ridotti immancabilmente all'impotenza, i primi in testa? Allora il peggio sarà assicurato, e anche se salveremo le apparenze dell'ordine andremo egualmente al caos, accecati dalla buona fede, sempre più dispotica, e confortati da una tradizione sempre più assurda.

Il Nazionalismo è un morbo universale, da cui si guarirà con la morte dei frenetici, non possiamo durare in un mondo sempre più angusto con idee così dannose, quindi dovremo perire. Lo storico di domani dirà che la natura si è vendicata dei popoli comunicando loro un senso di vertigine e che il Nazionalismo è una frenesia simile a quella che si impossessa delle società animali divenute troppo numerose. Siamo troppo numerosi e vogliamo morire, ci serve un pretesto nobile ed eccolo trovato, è l'accordo, il più perfetto che ci sia, tra possesso e alienazione, esso ci permette di stimarci moltiplicando all'occorrenza gli atti più spregevoli, ci inebria di noi votandoci al sacrificio, ci rende candidamente mostruosi, autorizza le nostre virtù a fregiarsi dell'attributo di tutti i vizi e - quel che è meglio - sceglierà per noi ciò che desideriamo e non osiamo scegliere. Siamo perduti senza scampo, il morbo non risparmia più nessuna nazione, e tutti i paesi si assomigliano perfino in quella specie di furore che li contrappone e li aizza a scannarsi l'un l'altro.

Poiché nessuna nazione vuol dimenticare ciò che essa chiama la sua storia, e che il più delle volte non ha nulla da spartire con la Storia, bisognerà che un giorno tutte vi rinuncino. L'ultimo vincitore disarmerà lo spazio e il tempo, confischerà i mezzi e le idee, le pretese e i ricordi, le forme e i contenuti, si dichiarerà unico legatario di cinquanta secoli, dimostrerà che lui è la ragione d'essere della specie umana e che il dovere di cento popoli è quello di abdicare, egli ne sterminerà alcuni, deporterà la maggior parte degli altri e dappertutto si vedrà una miriade di uomini dei quali sarà lui l'unico padrone. Giacché la semplicità è inconcepibile a un prezzo minore, e nonostante il pullulare delle differenze che si scatenano sotto i nostri occhi il futuro è della semplicità, noi andiamo di disordine in disordine all'ordine ultimo e di carneficina in carneficina al disarmo morale, pochi salveranno e pochi saranno salvati, frattanto la massa di perdizione si eclisserà, portandosi nell'abisso i problemi insolubili. Il Nazionalismo è l'arte di consolare la massa del fatto di essere solo massa e di presentarle lo specchio di Narciso: il nostro futuro infrangerà quello specchio.

Il compiacimento ha bisogno di spazio, e lo spazio è quello che più mancherà al mondo, stiamo entrando in un mondo angusto, non lo abbiamo ancora capito, dobbiamo rinunciare ai ricordi, quando ci inorgogliscono, e alle illusioni, quando occupano troppo posto. E' da supporre che le nazioni non lo faranno spontaneamente, tale rifiuto è presagio di innumerevoli orrori, l'ultimo vincitore non avrà più giudici sopra di lui, e se in un solo giorno sterminasse un miliardo di esseri umani nessuno glielo rimprovererebbe. Giungere a un accordo sui partiti da prendere non serve al futuro, il futuro taglierà corto, i suoi attributi saranno la violenza e la semplicità, noi fingiamo di non accorgercene, i nostri filosofi gareggiano nel computo dei miracoli e mai si sono ritratti così bene davanti alla concatenazione più logica e di fronte ai corollari più rigorosi. La paura delle parole aumenta, e questo prova che attribuiamo loro un potere che smentiamo giorno per giorno nella gestione delle cose, abbiamo in spregio là loro accezione e ne distorciamo il senso, salvo poi tremale dinanzi alle ragioni chiare e distinte.

Siamo diventati frivoli e la frivolezza non è di buon auspicio, i nostri giudizi risentono della paura che ci divora e che neghiamo, forse in mancanza di altre risorse. I nostri padri a volte si permettevano di apparire tragici, ma era perché non vivevano come noi nell'ombra della morte, parlavano della fine del mondo sentendo in cuor loro che molte generazioni li separavano da un finale che noi sappiamo essere vicino. I nostri padri immaginavano ciò che invece a noi è concesso vedere, la loro ipotesi é ormai la nostra tesi, essi potevano scegliere tra morire e vivere, mentre noi stiamo già sopravvivendo. Da un momento all'altro quell'evento, verso il quale la Storia sta andando da oltre cinquemila anni, da un momento all'altro potrebbe iniziare a verificarsi scagliandoci fuori da ogni evidenza, da un momento all'altro sarebbe la fine della nostra identità, il crepuscolo in pieno giorno, il chiudersi della parentesi e la confusione dei tempi che urtano contro l'intemporale e all'improvviso si spaccano. Proprio perché la morte incombe noi ci premuriamo di esorcizzare la nostra evidenza, i nostri padri ne cercavano soltanto la promessa e ne trovavano soltanto i presagi.

La voce profonda che percepiscono tutti coloro che non sono sordi ci mette in guardia su quanto ci attende, sappiamo che il male è senza rimedio e che credere nel miracolo è un'empietà, sappiamo che non risaliremo la china e che saremo lieti di discenderla pei ragioni in apparenza plausibili, sappiamo che stiamo per scoppiare da un polo all'altro e perire nell'incendio che ci preparano le nostre idee al pari dei nostri mezzi. Presto il caos sarà il nostro denominatore comune, lo portiamo in noi e lo troveremo simultaneamente in mille luoghi, dappertutto il caos sarà il futuro dell'ordine, l'ordine già non ha più senso, non è più altro che un meccanismo vuoto e noi ci logoriamo nel perpetuarlo perché ci voti all'irreparabile. Innalziamo un tempio alla Fatalità, lo onoriamo di sacrifici e non è lontano il momento in cui offriremo noi stessi, il mondo è pieno di gente che sogna di morire, trascinando gli altri nella morte. Sembrerebbe quasi che gli uomini in soprannumero distillassero un veleno che si spande sull'universo e rende l'ecumene inabitabile. Perciò l'Inferno, lungi dall'essere il nulla, è la presenza.

Lo scotto della morale e della fede è la presenza umana moltiplicata all'infinito e divenuta l'Inferno dell'uomo. Questo ci dimostra altresì che la morale non vale niente e che la fede non è divina, entrambe sono al servizio dei nostri padroni, e noi non abbiamo peggiori nemici di coloro che ci dominano. Ai padroni occorrono schiavi, più numerosi sono gli schiavi e più i padroni si arricchiscono, ogni mezzo è buono purché le donne siano feconde e nascano bambini, lo spopolamento sarebbe la loro rovina, preferiscono che l'universo scoppi, l'arrestarsi del movimento - che salverebbe il mondo - avrebbe luogo a loro danno. Noi quaggiù siamo vittime dei nostri aguzzini, e quando crediamo di obbedire a Dio, obbediamo a uomini, uomini che ci portano al caos e non ci preservano dalla morte, uomini ignoranti, uomini impotenti, ma che ci incutono rispetto, in nome delle tradizioni che ci impongono. Giacché le nostre autorità non sanno niente, non possono niente, non valgono niente, non ci risparmiano niente, e non sanno far altro che cullarci nelle fandonie, al solo scopo di conservare i privilegi acquisiti e di perpetuare il proprio dominio.

Le nostre sedicenti autorità religiose e morali non servono che a disarmarci di fronte alla nostra evidenza, si oppongono all'ingegno dei nostri mezzi perché esso le renderebbe sorpassate, non vogliono farci uscire di tutela, non pensano che a perpetuale gli errori che le accreditano, ci predicano la sottomissione e la confusione, ormai la loro opera non fa che accrescere le sventure del mondo. Se moriremo nell'ignominia, la colpa sarà loro, giacché ci tradiscono come respirano, sono per noi palle al piede che scambiamo per fondamenti che ci sostengono, immolarle ci avrebbe resi liberi, e non abbiamo osalo troncare con loro al momento propizio. Sicché la fedeltà ci danna e l'obbedienza ci condanna, è troppo tardi e non ripareremo a nulla, non scanseremo più la catastrofe, e la nostra massima consolazione, al momento di morire, sarà di veder morire sotto i nostri piedi coloro che ci trascinano nel precipizio e che calpesteremo soccombendo, per estinguete ad un tempo il loro ricordo e il loro seme. Non vi saranno che vittime, domani, e questa è la giustizia della Storia.

Le nostre religioni sono i cancri della specie e non ne guariremo che da morti, moriremo perché le nostre religioni periscano, la catastrofe inghiottirà i preti insieme con i loro fedeli, i resti dell'umanità sopravvissuti in mezzo alle rovine si accaniranno sulle pietre rimaste. Rido al vedete le nazioni mantenere e restaurare gli edifici da cui ebbe origine la loro morte spirituale, in tempi nei quali si dovrebbe ripensare l'universo; rido al vedere cento popoli divenire conservatori delle loro antichità immaginarie o reali, in balia della prossima catastrofe; rido al veder contendere al nulla i templi da cui il nulla trae la propria sopravvivenza, e dichiaro che tutto morirà, gli uomini al pari delle pietre, le pietre al pari degli uomini. Domani la morte celebrerà le sue nozze con il caos, e noi stiamo già adornando le loro tavole, è per la loro festa che sgobbiamo, i nostri edifici sono le testimonianze che appariranno in mezzo alla carne dei popoli immolati, tagliati a fette, bolliti e arrostiti, il cui cuore palpiterà d'amore dinanzi alle cortesie della Provvidenza, e che contempleranno, nell'ora dell'agonia, il vuoto che credevano divino.

Fino a oggi, di solito il vuoto si trasformava, poiché gli dèi prendevano il suo posto. Ora, per la prima volta gii dèi non nascono più dal vuoto, il vuoto resta cinti che è, gli uomini lo contempleranno nella sua integrità, tutto il mondo assumerà i suoi tratti e ciò che se ne differenzia andrà svanendo perché rimanga solamente il vuoto. E l'ora della purezza, dobbiamo rallegrarcene, non vi perderemo che la nostra Storia e tutto quanto a essa si richiama, le nostre religioni ispirate e i nostri pretesi imperativi eterni, che invece non sono mai stati altro che storici. Da perdere non abbiamo che la Storia e tutto quanto alla Storia si riallaccia, preferiamo il vuoto e plaudiamo alla sua venuta, esso è la letizia che ci illumina nell'ora della nostra morte. Sicché approviamo l'irreparabile, nostro vendicatore supremo, il clamore di agonia delle nazioni è la musica dei nostri funerali, l'ordine e i suoi difensori si disgregano sotto i nostri occhi, e noi li chiuderemo quando essi saranno in cenere, moriremo i più consolati fra gli uomini, perché siamo stati i soli a rinunciare alle opere di menzogna di cui i fedeli si pascono.

Siamo puniti per non aver bruciato ciò che adoravamo, ma i nostri discendenti, dopo la catastrofe, adoreranno tutto ciò che abbiamo bruciato. E noi sembreremo allora pazzi pericolosi, i nostri dèi altrettanti mostri, i nostri dogmi orrori e i nostri imperativi incubi, si domanderanno se non fossimo dei posseduti e avranno ragione, giacché bisogna essere posseduti per strisciare davanti a ciò che noi divinizziamo. La malattia e la menzogna informano i nostri misteri e l'intreccio delle nostre leggende sembra un delirio, ma non usciremo che folgorati da questo letamaio spirituale, fatto a immagine dei nostri fiumi inquinati, siamo divenuti impuri a forza di nitrire dietro la purezza, abbiamo ripristinato il sacrificio umano, e tale è il nostro smarrimento che non comprendiamo le nostre azioni. Che cosa può capitarci di peggio, ormai, che restare quali siamo? E il nulla stesso è poi la giusta pena per le nostre» colpe? O non ci meritiamo doppiamente quella morte che non basta a estinguerle? Il vuoto è buono, il vuoto è santo, e coloro che vorrebbero fosse consustanziale al male desiderano perpetuare il male ed essere perpetuati dal male in feria.

Un mondo che fosse rimasto pagano non avrebbe violentato la natura, i Paganesimi la consideravano divina, di norma adoravano alberi e sorgenti; anziché sul tempo, posto dalle religioni cosiddette rivelate al centro dei loro dogmi, i Paganesimi ruotavano sullo spazio e, salvo eccezioni, preferivano la misura alla trascendenza e l'armonia a ogni altra cosa. Le religioni sedicenti rivelate hanno instaurato fra noi il fanatismo, e quella cristiana, che lo ha spinto all'estremo, ha divinizzato la Follia, glorificato l'incoerenza e legittimato il disordine, in nome di un maggior bene. Finché queste tesi spaventose non disposero che di mezzi senza portata, gli uomini le accettarono, ma da quando le nostre opere sono in sintonia con esse, avvertiamo l'enormità dei nostri imperativi e, ancor più, la loro demenza. L'idea dell'incarnazione è la più mostruosa, e il futuro vi cercherà la causa efficiente dei nostri paradossi insolubili, uno dei suoi effetti è lo stupro della natura, al quale la trascendenza ci prepara e che l'odio per il mondo legittima: non si deve mai dimenticare che per i Cristiani Mondo, Carne e Diavolo formano un'Antitrinità.

Che cosa importa se i Cristiani alla moda rifiutano di sottoscrivere le tesi che enuncio e se, i teologi per primi, cercano di sottrarsi alle loro conseguenze! Non faranno che accrescere il disordine, e nel labirinto dei loro paradossi si smarriranno ancor a di più, volendo riparare all'irreparabile. I.'irreparabile è cosa fatta, lo spirito dì dismisura, che fu quello della Chiesa, è ora quello del mondo, la verticalità dei dogmi è completamente esplosa in tutti i sensi, e comunicandosi allo spazio altera le sue dimensioni. Qualche tempo fa vi furono pensatori che si compiacquero di tale sconvolgimento, ve ne furono anche tra gli ecclesiastici, che glorificarono lo stupro dell'ecumene nella speranza di una spiritualità nuova. E invece ci stiamo dirigendo verso l'animalità, finiremo per incappare nella disumanità, nonostante le omelie e nonostante le professioni di fede, sbagliamo a ritenerci peccatori, siamo soltanto automi spermatici: l'uomo non è e non è mai stato quello che la Chiesa ci insegna. Bisogna sia ridefinire l'uomo sia riconsiderare il mondo, ma ormai è troppo tardi anche solo per pensarci.

I nostri discendenti, dopo la catastrofe, ridotti a qualche infima porzione dell'umanità attuale, onoreranno le sorgenti e gii alberi, sposeranno la Terra con il Cielo, giudicheranno abominevole l'idea di sacrificio e sacrilega l'idea della trascendenza, ripristineranno tutto ciò che le religioni rivelate hanno abolito: la prostituzione sacra e la promiscuità rituale, il culto della generazione e l'adorazione dei suoi simboli, la ierogamia e i saturnali. Prenderanno l'uomo per quello che non ha cessato di essere e non per quello che dovrebbe essere, non ricadranno nelle illusioni del profetismo, rinunceranno a perfezionare un automa imperfettibile, capiranno che la spiritualità non è appannaggio della quantità e che l'errore sta nel comunicare uno stesso insegnamento a tutti, sulla falsariga delle religioni cosiddette rivelate. E meglio che la maggioranza resti idolatra e carnale, il male ha inizio quando la biasimiamo per questo e la costringiamo a mentirci mentendo a se stessa, è meglio che i semplici associno le divinità al piacere piuttosto che alla penitenza, e che l'orgasmo sia pei loro ciò che è la transustanziazione per i Cristiani.

Sono ormai secoli e millenni che sbagliamo rotta, e adesso dobbiamo pagare, il disincanto non basta a redimerci, e non è in nostro potere ritrovare il Paradiso che abbiamo perduto, prima di esaurire quanto l'Inferno ha di più caotico e di più tenebroso. Oggi siamo rimasti ancora talmente ciechi da nutrire un vero amore per coloro che persistono a fuorviarci, continueremo a perdonarli nonostante i loro crimini e i loro errori, aderiamo immancabilmente al loro insegnamento assurdo e marciamo sotto il loro bastone come se essi fossero pastori e noi spregevoli animali. Eppure ci condurranno al precipizio, questi uomini infallibili che noi reputiamo divini, da generazioni prendono abbagli e noi ci rifiutiamo di capirlo, sacrifichiamo loro i nostri interessi e perfino il nostro onore, presto immoleremo loro il nostro futuro, la Storia conosce poche follie così accese. I sopravvissuti dell'ultima catastrofe mediteranno sul nostro accecamento, vi vedranno l'annuncio della fine a cui siamo destinati, vi ravviseranno una logica di cui noi non sospettiamo la posta.

Dalla logica non usciamo, e in questo universo, a quanto pare sempre più assurdo, non ci domandiamo più se abbiamo meritato la sorte che non possiamo eludere, a questa sorte ci preparano le nostre tradizioni e ci votano le nostre idee, a essa ci riconsegna la nostra obbedienza dopo uno scatto di ribellione, a essa ci destinano le nostre abitudini dopo un'evasione senza domani. Sicché noi vogliamo ciò che vogliamo, nei limiti della nostra capacità di comprendere noi stessi, e vogliamo ciò che i nostri padroni vogliono, fosse pure in nostra vece. Non possiamo improvvisare, mentre il nostro interesse ce lo impone, e ci stringiamo, più risoluti, attorno a ciò che ci disgrega, non osiamo troncare con ciò che ci trascina, e ci illudiamo che il sacrificio faccia miracoli. Stavo per dire che ci sacrifichiamo? Le convenienze erano infallibili e a tempo e luogo non vi verremo meno, ci immoleremo per i nostri dèi morti e i nostri idoli tarlati, è un atto che ci fa sentire importanti, e non appena ci dissanguiamo per una causa le facciamo credito senza badare a ciò che nasconde.

L'ideale prende il posto dell'istinto e l'impulso a morire innumerevoli che afferra pesci e insetti, roditori e ruminanti, s'impadronirà di noi attraverso l'ideale, incaricato di imbrogliarci. Proprio quando ci sentiamo più degni di stima e più disinteressati, proprio quando smaniamo per ciò che ci trascina e facciamo sogni di immortalità, proprio allora ci spogliamo di quanto ci rendeva umani e discendiamo la china. L appunto questo il tragico della faccenda e la suprema abiezione - che ci attende da un giorno all'altro -, non sfuggiamo alle leggi generali, e queste leggi a loro volta rimandano a quelle che reggono le società animali, troveremo la chiave dei nostri comportamenti negli abissi sotto i nostri piedi, mai sopra le nostre teste. L'ideale è il riflesso dell'istinto, dovesse pure sembrare il suo opposto, la sua forza sta nell'ignominia della sua genesi come nel piacere che proviamo ad abbandonarci alle nostre inclinazioni dietro nobili pretesti, noi chiediamo all'ideale di infiorare l'orgasmo e di coprire la prostrazione che gli fa seguito. L'uomo gode per qualsiasi cosa e perfino nel consegnarsi al rogo.

Siamo condannati, e quelli di noi che lo sanno non possono più farsi ascoltare, e anche se potessero, preferirebbero mantenere il silenzio. A che serve ormai predicare ai sordi e disilludere i ciechi? Forse che impediremo loro di perseverare nel movimento che li travolge? Stiamo andando dritti al futuro più orribile, che comincerà dall'oggi al domani, ci ritroveremo in esso senza nemmeno capire quel che ci accade, non ci resterà che morire disperati nell'universo inabitabile. Gli uomini si facevano guerra per il possesso del suolo, domani si ammazzeranno fra loro pei accaparrarsi l'acqua, e quando verrà a mancarci l'aria, ci scanneremo per respirare in mezzo alle rovine. Noi aspettiamo che la scienza faccia miracoli e presto ne esigeremo l'impossibile, ma essa è superata dalle nostre necessità e mai più sarà in grado di soddisfarle, siamo in molti miliardi di troppo a chiedere il Paradiso in Terra, ed è l'Inferno quello che rendiamo inevitabile, con l'aiuto della nostra scienza, sotto il bastone dei nostri pastori imbecilli. II futuro dirà che gli unici chiaroveggenti erano gli Anarchici e i Nichilisti.

Fu quando l'uomo stava per raggiungere la felicità e intravedeva un futuro senza malattie e senza miseria, senza lavoro ingrato né terrore, giusto agli albori di questo secolo, fu allora che avvenne l'irreparabile e ritornarono le forze del passato, più trionfanti che mai, portate dalla fiumana degli uomini in soprannumero. Sono bastate due generazioni perché la popolazione dell'universo raddoppiasse, ne sono bastate tre perché triplicasse, crescerà di sette volte durante la quarta e le nostre autorità religiose e morali, colle alla sprovvista, non hanno saputo che divagare e cercare di guadagnar tempo, ingarbugliando l'enunciato dei nostri problemi: questa colpa non sarà mai loro perdonata, esse saranno colpevoli di fronte all'avvenire, hanno preferito il proprio dominio alla felicità della specie umana, e quando potevano disilludere le nazioni e comunicare loro l'ingegno dei nostri mezzi, non sono servile che a fuorviarle di più e a disarmarle in modo così miserevole che niente eguaglia ormai la nostra impotenza. Perciò gli Anarchici e i Nichilisti hanno ragione, hanno ragione a respingere l'ordine cosiddetto morale, l'ordine per il caos in nome della morale.

Ci occorre una Rivelazione nuova e che proclami il superamento di quelle che osserviamo, ma quelle che osserviamo sono in vigore, il loro peso di morte si unisce alla Fatalità, che ci annienta, ordine e caos formano un tutto che non riusciamo a infrangere. Gli Anarchici e i Nichilisti sono gli ultimi uomini ragionevoli e sensibili fra i sordi, che marciano, e i ciechi, che militano, ma non basta aver ragione nel secolo attuale, né basta essere sensibili per cambiare qualcosa, bisogna sostituire l'ordine con un ordine e non con un disordine, e la morale con una morale, non con l'immoralità, e cosi la fede con una fede, non semplicemente con un vuoto, e gii dèi morti con le divinità nascenti. Non abbiamo bisogno di agitatori, abbiamo bisogno di profeti, abbiamo bisogno di genii religiosi adatti ai nostro tempo, alle nostre opere, perché tutti quelli di cui veneriamo la memoria, nessuno escluso, sono superati, sono tutti superati, e coloro che vi si appellano li tradiscono. Nessuna tradizione ci protegge dal futuro, perché il futuro non ha precedenti e l'universo non ha più ripari.

Poiché gli uomini, per la maggior parte, non sono usciti dall'infanzia, hanno bisogno di una Rivelazione per ogni minimo atto della vita, sono gli dèi, in ultima analisi, che devono esortarli a non essere fecondi, se la fecondità minaccia la sopravvivenza della nostra specie: né i poteri civili né le accademie piene di scienziati famosi avranno mai tutta l'autorità che solo gii dèi concentrano sopra di loro. Ora, i nostri dèi predicano o la continenza o la fecondità, noi non vogliamo saperne né dell'una né dell'altra, vogliamo che la carne abbia diritto al suo piacere in quanto tale e che il piacere diventi grato agli dèi quanto agli uomini, vogliamo che gli dèi siano associati al piacere e che gii uomini credano di onorarli quando godono. Ci occorre una Rivelazione nuova, e per un nuovo Paganesimo, un nuovo Paganesimo salverà gii uomini, che le religioni cosiddette rivelate fallirò smarrire nel labirinto dei loro paradossi ormai insostenibili, paradossi ormai illegittimi, paradossi ormai assurdi. E la fecondità, e non la fornicazione, a distruggere l'universo, è il dovere, e non il piacere.

Invece di aspettare che gli uomini diventino maggiorenni, e non sappiamo se si decideranno mai a esserlo; invece di cercare di illuminarli su problemi insolubili e su paradossi indefinibili, che né gli scienziati né i logorroici risolveranno e definiranno; invece di fare appello alla coscienza, che non hanno; invece di fare appello alla buona volontà, che è solo fanatismo; invece di fare appello alla buona fede, che è solo fanatismo; invece di fare appello alla buona lede, che è solo allucinazione approvata; invece di sperare nel miracolo, che è poi quello a cui in definitiva si riduce tutto quanto precede, bisogna agire come se tutto dovesse morire, bisogna prepararsi a sopravvivere alla catastrofe, bisogna pensare ai resti che sussisteranno nell'universo inabitabile, bisogna considerare la massa di perdizione irrimediabilmente perduta, e non ragionare più se non tenendo conto della sua transitorietà. Quello che affermo sembra disumano, ma disumano il secolo lo sarà sempre di più, e i sermoni non modificheranno questa sua peculiarità, gli uomini potranno pure assieparsi nei templi, ciò non toglie che i templi finiranno per crollate, e sulla testa dei fedeli, nell'ombra della morte comune. 

Albert Caraco

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