sabato 3 agosto 2013

MAX STIRNER -- Ancora e Sempre un Dissidente

Come Marx e Nietzsche hanno rimosso il loro collega Max Stirner e perché egli è loro egualmente sopravvissuto



Max Stirner? Il filosofo piccolo borghese, redarguito ai suoi tempi già da Karl Marx? L'anarchico, l'egoista, il nichilista, il rozzo precursore di Nietzsche? Sì, proprio lui. Certo, malfamato nel mondo filosofico, che lo evoca tutt'al più in margine, ma ancora oggi detentore della dinamite intellettuale che uno di quelli che giunsero dopo di lui pretese aver fabbricato.
È sufficiente pronunciare il suo nome perché appaiano delle formule come "Sono Unico", "Non vi è nulla al di sopra di Me", "Ho fondato la mia causa sul nulla", che lo hanno fatto passare per l'incarnazione dell'egoista senza genio, dell'ingenuo solipsista, ecc... Egli non è quindi del tutto dimenticato. Il suo libro "Der Einzige und sein Eigentum" (1844) ["L'Unico e la sua proprietà"] -- Non ne ha scritti altri -- è ancora edito ai nostri giorni nella Reclams Universalbibliothek, come opera classica dell'egocentrismo. Senza che nessuno lo consideri per questo tale.
Tuttavia -- questa è in compenso la mia tesi -- ecco giunto il tempo di Stirner. Si troverà forse la migliore spiegazione di quanto voglio dire, nella storia dell'influenza del suo libro, che si è esercitata in modo stranamente clandestino nei suoi periodi più ricchi di conseguenze e che è ancora oggi molto poco conosciuta. Essa permette egualmente di capire come e perché l'idea centrale e specifica di Stirner sia diventata veramente attuale soltanto un secolo e mezzo dopo la sua formulazione.

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Stirner ha scritto il suo "Unico" nel contesto della filosofia giovane-hegeliana degli anni 40 del XIX secolo. Quest'ultima, se si esclude la critica biblica dei suoi inizi, ha tentato di sviluppare per la prima volta in Germania una teoria razionalista e atea coerente (la "vera" o "pura" critica) e una pratica razionalista (la "filosofia dell'azione"). I suoi teorici più rappresentativi furono Ludwig Feuerbach e Bruno Bauer, mentre, sul piano politico e pratico, Arnold Ruge e Moses Hess si distinguevano nella lotta per la democrazia e la giustizia sociale.
Max Stirner fu dapprima un membro piuttosto in disparte del gruppo di Bruno Bauer. Perciò la critica spietata dell'insieme del giovane-hegelismo presentata nel suo libro ("L'Unico"), sorprese tutti. Stirner non criticava, nella filosofia di Feuerbach e di Bauer -- come i numerosi avversari del Nuovo Razionalismo post hegeliano -- l'ateismo dei due vecchi teologi, ma piuttosto la mancanza di coerenza del loro pensiero. Essi erano indubbiamente giunti ad emanciparsi dal sistema totalizzante di Hegel, ma non ad abbandonare il "circolo magico del cristianesimo". Da qui il giudizio di Stirner: "I nostri atei sono persone pie!".
Coloro che egli aveva criticato in tal modo si accorsero perfettamente che Stirner era andato più lontano ed in modo coerente, sul loro cammino, il cammino della critica. E se ammirarono la sua audacia, si spaventarono del suo risultato, che essi considerarono come un nichilismo morale.
Affascinati in privato -- Feuerbach scrisse a suo fratello che Stirner era "lo scrittore più geniale e più libero che avesse mai conosciuto", mentre Ruge, Engels e altri si mostrarono egualmente spontaneamente impressionati -- essi adottarono pubblicamente un atteggiamento difensivo e scelsero di mantenere la loro distanza o il silenzio: questa avanguardia intellettuale reagì in modo ambiguo e tattico verso l'opera più audace delle sue teste. Nessuno volle fare con Stirner questo passo al di là del Nuovo Razionalismo -- un pensiero razionalista non doveva sfociare sul nichilismo. E ci si allarmò al punto di non vedere che Stirner aveva già aperto delle strade "al di là del nichilismo".
La reazione difensiva di fronte alle idee stirneriane caratterizza egualmente la maggior parte della storia della recezione, composta allo stesso tempo di re (-pulsione e di de-) cezione, di L'Unico. Tanto per cominciare, l'opera cadde nell'oblio per mezzo secolo, è soltanto negli anni Novanta del XIX secolo che Stirner conobbe una rinascita che proseguì nel secolo successivo, tuttavia, sempre all'ombra di Nietzsche, il cui stile e la retorica "Dio è morto", "Io, il primo immoralista", ecc., affascinarono tutti.
Alcuni pensatori intuirono tuttavia molto bene che Stirner, benché passante per un predecessore limitato di Nietzsche, era in effetti il più radicale dei due. Ciò non di meno, essi si sottrassero dal confrontarsi pubblicamente con lui. Edmund Husserl parla ad esempio, in un passaggio isolato, della "potente tentazione" che rappresenta L'Unico- e non lo cita nemmeno una sola volta nei suoi scritti. Carl Schmitt, sconvolto dalla sua lettura quando era giovane, non ne fece parola sino al giorno in cui, nel 1947, nella disperazione e l'abbandono di una cella di prigione, Stirner venne di nuovo ad ossessionarlo. Rudolf Steiner, che fu all'inizio un pubblicista razionalista impegnato, si entusiasmò spontaneamente per Stirner ma, accorgendosi presto che questi lo "conduceva nell'abisso", si volse verso la teosofia. In quanto agli anarchici, essi si tennero silenziosamente a distanza (Proudhon, Bakunin e Kropotkin) o ebbero con lui una relazione perpetuamente ambigua (Landauer).
Ritroviamo questo rifiuto inorridito, di un pensiero percepito come abissalmente diabolico in L'Unico, presso eminenti filosofi del nostro tempo. Per Leszek Kolakowski, Stirner, accanto a cui "Nietzsche stesso sembra debole e incoerente", è certo irrefutabile, ma bisogna ad ogni costo colpirlo di anatema, perché egli distrugge "il solo strumento che ci permetta di fare nostri dei valori: la tradizione". La "distruzione dell'alienazione" a cui egli aspira, "il ritorno all'autenticità, non significherebbe altra cosa che la distruzione della cultura, il ritorno all'animalità... ad uno statuto preumano". E Hans Heinz Holz ci mette in guardia: "L'egoismo stirneriano, se fosse messo in pratica, condurrebbe all'autoannientamento della specie umana".
È possibile che sia un'angoscia apocalittica di questo genere che abbia spinto il giovane Jürgen Habermas ad anatemizzare in termini frenetici "l'assurdità della frenesia stirneriana" e a non citarlo mai più in seguito, anche quando tratta di giovane-hegelismo. Adorno, che doveva vedersi, alla fine della sua carriera di pensatore, "riportato al punto di vista" -- prestirneriano -- "del giovane hegelismo", annotò un giorno in modo oscuro che Stirner era colui che aveva veramente "tradito il segreto", ma non troviamo una sola parola su di lui in tutta la sua opera. Mentre Peter Sloterdijk non nota nulla a proposito e si limita a scuotere la testa constatando che il "geniale" Marx ha "lasciato libero corso alla sua irritazione a proposito di un pensiero in fin dei conti così semplice come quello di Stirner in diverse centinaia di pagine".
Dunque, Karl Marx: la sua reazione merita, come quella di Nietzsche, di essere sottolineata in ragione dell'influenza che essa ha avuto su tutta un'epoca. Nell'estate del 1844, Marx vedeva ancora in Feuerbach "il solo pensatore che abbia compiuto una vera rivoluzione teorica", ma l'apparizione di L'Unico, nel mese di ottobre dello stesso anno, fece vacillare questa convinzione, perché avvertì molto chiaramente la profondità e la portata della critica di Stirner. Mentre altri, tra cui Engels, cominciarono ad ammirare Stirner, Marx vide in lui sin dall'inizio un nemico che conveniva annientare.
Considerò dapprima di scrivere un resoconto critico di L'Unico, ma abbandonò presto questo progetto e decise di aspettare la reazione degli altri (Feuerbach, Bauer). Nel suo libro "La sacra famiglia -- contro Bruno Bauer e consorti" del marzo 1845, egli risparmiò dunque Stirner. Nel settembre del 1845, apparve la critica di L'Unico di Feuerbach e la superba replica di Stirner. Marx, sentendosi provocato ad intervenire in persona, interruppe importanti lavori in corso e si precipitò su L'Unico. La sua critica, intitolata San Max, grondante di inventive contro "il più povero dei cervelli filosofici", divenne infine più voluminosa di L'Unico stesso. Tuttavia sembra che, terminato il manoscritto, Marx abbia di nuovo esitato nelle sue riflessioni tattiche e, in fin dei conti, la critica di Stirner rimase inedita.
Il risultato di questa spiegazione gestita in privato con Stirner fu che Marx si allontanò definitivamente da Feuerbach e costruì una filosofia che, contrariamente a quella di quest'ultimo, doveva essere immunizzata contro la critica stirneriana -- si trattava del materialismo storico. Sembra tuttavia aver considerato ancora a questa data la sua nuova teoria come provvisoria, perché egli la lasciò anch'essa, come il suo San Max, nel cassetto. Volendo evitare ad ogni costo una discussione pubblica con Stirner, egli si tuffò nella vita politica, nelle lotte contro Proudhon, Lassalle, Bakunin, ecc. È così che egli giunse a evitare completamente il "problema Stirner" -- sia a livello psicologico sia a quello della storia delle idee.
Il significato storico del lavoro di rimozione di Marx diventa chiaro quando si esamina il modo in cui i marxologi di ogni sfumatura hanno visto Stirner e apprezzato la sua influenza su Marx. Essi hanno adottato senza il minimo spirito critico ed in modo sorprendentemente unanime il modo di vedere di Engels nella sua opera di volgarizzazione "Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca", pubblicato nel 1888. Engels vi parla in modo puramente episodico di Stirner come di un "caso curioso" nel "processo di disgregazione della scuola hegeliana", lodando Feuerbach per averlo superato.
Questo modo di presentare le cose, benché grossolanamente falso sia dal punto di vista della cronologia quanto di quello dei fatti, fu subito generalmente accettato e lo restò anche dopo l'apparizione del San Max di Marx nel 1903. Benché le reazioni di Marx a L'Unico di Stirner possano essere documentate in modo convincente e dettagliate, non vi sono stati sino ad oggi che pochi rari autori -- come Henri Arvon o Wolfgang Essbach -- per trattare del ruolo decisivo di Stirner nell'elaborazione della concezione del materialismo storico di Marx e procedere ad una riabilitazione senza entusiasmo del primo non mettendo in questione la superiorità ben consolidata del secondo. Malgrado ciò, questi stessi lavori sono stati ignorati per decenni e non li si discute che ben poco, e con esitazione, negli ambienti specialistici.
Si può dire, riassumendo, che alla rimozione primaria di Stirner da parte di Marx (a livello psicologico e della storia delle idee) è seguita una rimozione secondaria, attraverso cui i marxologi di ogni tendenza hanno automaticamente fatto sparire contro ogni evidenza, la rimozione primaria marxiana (in ultimo luogo, ed in modo molto impressionante, è il caso di Louis Althusser), risparmiandosi allo stesso tempo di dover procedere contro la loro.
Friedrich Nietzsche, il secondo grande "vincitore" di Stirner, è nato l'anno (e il mese stesso) dell'apparizione di L'Unico. Tuttavia, il giovane-hegelismo nel suo insieme era già considerato dappertutto, dal tempo della sua giovinezza, come una filosofia mancante di serietà, come le elucubrazioni di alcuni maestri di conferenza cacciati dall'Università e di giornalisti chiassosi prima delle giornate del marzo del 1848. Il giovane Nietzsche quindi, disgustato dalla "senilità" dei suoi condiscepoli, vantò in una lettera questi stessi anni '40 come "un'epoca di grande attività dello spirito", a cui gli sarebbe piaciuto partecipare. Il contatto diretto con un veterano giovane-hegeliano orientò così il futuro filosofo. Nel mese di ottobre 1865, Nietzsche incontrò a lungo ed intensamente Eduard Mushacke, un vecchio membro della cerchia di Bruno Bauer, che era stato legato da amicizia con Stirner. Questo incontro ebbe come immediata conseguenza una profonda crisi intellettuale e la decisione panica di "volgersi verso la filosofia e Schopenhauer".

Nietzsche ha tentato con un certo successo di cancellare le tracce dirette di questa svolta intellettuale decisiva -- cosa che dà un peso ancor più grande a quelle che ci restano.
Benché, nel caso di Nietzsche, le cose si presentino in tutti i loro dettagli (compreso dal punto di vista della giustificazione positiva), diversamente da Marx, si possono constatare tuttavia delle similitudini fondamentali nell'evoluzione intellettuale di questi due pensatori la cui influenza doveva essere basilare: il confronto con Stirner nella loro giovinezza; la rimozione (primaria) e l'edificazione di una nuova filosofia rafforzante una corrente ideologica iniziante nella loro epoca prima di diventare popolare, perché fa naufragare la spiegazione (formalmente in sospeso e reclamata da Stirner) con i problemi di fondo del progetto moderno, e cioè "il modo in cui l'uomo può uscire dalla sua minorità", pur suggerendo una soluzione pratica accessibile.
Come per Marx, una rimozione secondaria collettiva seguì alla rimozione primaria -- quella della ricerca nietzschiana di ogni tendenza, ma si espresse tuttavia sotto forme più sottili. Non si esitò a comparare delle dichiarazione di Stirner e di Nietzsche -- per concludere che Stirner era o non era un precursore di Nietzsche. Fu anche risposto positivamente alla domanda se Nietzsche avesse avuto conoscenza di L'Unico, senza che si giungesse ad una conclusione.
La tesi più estrema, quella di Eduard von Hartmann, vuole che Nietzsche avesse plagiato Stirner. Ma coloro che avevano compreso il vero apporto di Nietzsche, tacquero.


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I filosofi, nella misura in cui furono dei razionalisti, furono sempre dei dissidenti. Malgrado ciò, prima o poi e molto spesso dopo la loro morte, il loro insegnamento fu integrato nel corpus della storia delle idee. Contrariamente ad ogni evidenza, ciò non è stato sinora il caso per il critico razionalista del razionalismo che fu Stirner. Contrariamente a Marx e a Nietzsche, egli è rimasto sino al nostro tempo, che si crede post-ideologico e non conosce effettivamente più dissidenza intellettuale, un vero dissidente -- un dissidente di lunga durata.
È da questa provocazione che deriva il valore euristico del suo "Unico" per l'epoca attuale e la sua attualità. Lo studio attento di quest'opera e della sua influenza possono aiutarci a comprendere lo strano declino che ha conosciuto il progetto razionalista nel corso degli ultimi centocinquanta anni -- e forse con ciò stesso incitare alla sua rianimazione.
Razionalismo -- consideriamo quasi obbligatoriamente colui che, ai nostri giorni, vuole costituire questo concetto in un argomento attuale, un ingenuo non avente alcuna nozione della storia delle idee. Non siamo da molto tempo "illuminati", soprattutto sul razionalismo stesso? Non appartengono esse ad un'epoca trascorsa e non abbiamo da molto tempo riconosciuto le loro contraddizioni? Dal momento che esse hanno generato, in modo attivo e reattivo allo stesso tempo, sulla base di un'immagine apparentemente ottimista ma fondamentalmente falsa dell'uomo, le ideologie assassine che hanno portato alle catastrofi del XX secolo.
Tutti coloro che hanno voluto continuare nel XX secolo il progetto razionalista del XIX secolo, hanno accettato questa lezione -- compreso coloro che, negli anni Trenta hanno concepito una "teoria critica della società" ispirata a Marx e Freud, poi l'hanno silenziosamente abbandonata pochi anni dopo per finire con il pensare che una "dialettica" fatale era inerente ad ogni razionalismo.
La proclamazione dell'epoca postmoderna ha rapidamente posto un termine alle ultime ambizioni razionaliste che per un po' si fecero ancora sentire ed effettuarono un breve sfondamento nel 1968. Il progetto moderno di razionalismo, già screditato e fuori moda, doveva essere definitivamente congedato nominalmente e si riesumò così il bilancio di secoli di razionalismo: siamo oramai illuminati sul fatto che l'uomo non può essere illuminato. L'uomo nuovo, che si tratti di quello di Marx o quello di Nietzsche, non è stato creato, è il vecchio Adamo che trionfa. Oramai, ogni appello alla creazione di un uomo nuovo è malvisto, cioè considerato come molto pericoloso.
Le cose sono effettivamente tali che ogni intenzione di riattualizzazione del progetto razionalista è oggi soffocato sul nascere per il fatto che le idee portatrici degli ultimi pensatori razionalisti avendo agito sulle masse -- e cioè Marx e Nietzsche -- sono state fondamentalmente svalorizzate dalle esperienze storiche del XX secolo. Il loro fallimento ha fatto scoraggiare coloro che non possono semplicemente credere, di fronte all'onnipresente irrazionalismo, che l'umanità -- e non fosse che nella sua parte più progredita -- sia già "uscita dal suo stato di minorità" e che l'ultima parola sia stata detta sulle possibilità della ragione umana.
Malgrado ciò, il fallimento delle idee razionaliste sinora dominanti offre anche un'opportunità. Ora che il prestigio di Marx e di Nietzsche è svanito, dovrebbe essere possibile ritornare nel luogo della storia delle idee, sinora coscienziosamente evitato, in cui ha cominciato questa evoluzione errata -- e cioè i dibattiti razionalisti radicali dei giovani hegeliani degli anni Quaranta dell'Ottocento, da cui nacquero innanzitutto le idee di Stirner, poi -- soprattutto in reazione ad esse -- quelle di Marx e di Nietzsche.


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Stirner rimproverò ai razionalisti radicali del suo tempo di aver soltanto "ucciso Dio" e soppresso l'"aldilà fuori di noi", mentre essi conservavano, in quanto "pii atei" qual erano, il fondamento dell'etica religiosa, l'"aldilà in noi", trasponendolo semplicemente sotto una forma secolarizzata. Mentre non ci libereremo delle nostre millenarie catene solo quando quest'ultimo "aldilà" sarà anch'esso scomparso.
Con l'"aldilà in noi", Stirner intendeva molto precisamente l'istanza psicologica per la quale Freud creò nel 1923 la parola pertinente di "super Io". Il super Io appare nell'individuo come il risultato principale dell'acculturazione del bambino. È in seguito il rifugio dei giudizi di valore che, generati all'inizio della vita in modo pre- e irrazionale, non possono più essere influenzati che in modo molto condizionale dalla ragione. Il super Io, benché considerato dall'individuo come il suo bene più personale, è lì incarnazione dell'eteronomia.
Stirner pensava che lo stadio dell'evoluzione nel corso del quale un super Io generato pre- e irrazionalmente governasse il comportamento degli uomini, scomparirebbe con il compimento della razionalità allo stadio del governo personale, cioè di una vera autonomia degli individui.
Questa idea non ha tuttavia suscitato sino ad oggi, ovunque sia stata udita, che vive reazioni di difesa -- anche presso un razionalista come Freud, che voleva vedere il super Io ancorato alla biologia in modo fermo, irrevocabile ed eterno e che ha volgarizzato la psicanalisi con la formula "Là dove era l'Es, deve succedere l'io!" (N.B.: un io con super Io). E i pochi psicoanalisti che hanno tentato di prendere come tema l'alternativa "Là dove era il super Io, deve succedere l'io!", furono facilmente messi fuori gioco. Ma questo è un altro capitolo della storia del tutto non dialettica dell'auto-paralisi del razionalismo.

Bernd A. Laska

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