giovedì 29 agosto 2013

Un individualista anarchico


Emile Armand
Un Individualista Anarchico

Cinquantun anni fa moriva a Rouen, in Francia, E. Armand. Nato nel 1872, il suo vero nome all'anagrafe è Ernest-Lucien Juin Armand. Il padre è un ex-membro della Comune, anticlericale per giunta. Un'eredità promettente, ma il giovane Armand si sente attratto dal cristianesimo. Entusiasta, si lancia a seguire l'Esercito della Salvezza e l'ideale di un Cristo rivoluzionario derivato dritto dritto da Tolstoj.

La passione religiosa man mano sfuma, e Armand passa all'anarchismo individualista. È l'inizio di una vita di propaganda e di attivismo. Pubblica numerose testate, tutte dai titoli interessanti:Les Refractaires (I refrattari), L'Unique (L'Unico), L'En dehors (L'al di fuori), Hors du troupeau (Fuori dal gregge), Par delà de la Mêlée (Fuori dalla mischia). Nel 1923 esce la sua opera principale: L'initiation individualiste anarchiste. Compone anche poesie e testi teatrali, tra un arresto e l'altro, si intende. Sì, perché il suo stile di vita e le sue idee costano ad Armand il carcere e l'internamento nei campi di concentramento. Ma la vita individualista gli fa bene, e muore a 90 anni.




 Fuori dal gregge
Un discorso su E. Armand non può che partire dal concetto di refrattarietà. La sua idea di anarchico individualista è quella di un “en dehors”, un “al di fuori”, “un fuori dal gregge”. In nessun modo l'individuo anarchico è infatti assimilabile all'ambiente esterno. Ad esso, che sia lo stato, l'umanità, la scuola, una chiesa, la stessa anarchia, l'individualista non deve nulla. Suo compito è restarne fuori, e laddove possibile combattere tutto ciò che gli si oppone. La posizione ai margini che ne deriva non è però un problema, tutt'altro, la rivendicazione di non appartenenza all'ambiente è per il singolo motivo di distinzione.
L'individualista si riconosce pertanto perché ha risposto in modo affermativo a questa domanda: “Posso io vivere senza autorità?” Ecco cosa ci dice Armand al riguardo: «Io non ho alcun bisogno che esistano dei funzionari dell'autorità perché si manifesti e si conservi la mia vita. [...] E potrebbe anche non esservi sulla faccia della terra neppure un solo esecutore dell'autorità, e io compirei egualmente bene – e anche meglio – le mie funzioni vitali. Io posso vivere senza autorità»1. Data quindi una risposta affermativa, è necessario vivere in maniera conseguente, senza agire su un piano astratto (il rischio di “intimismo” è infatti sempre in agguato), ma vivendo uno stile di vita, un anarchismo “esistenziale”, che coinvolga l'individuo nella sua interezza. Anarchia è quindi in primo luogo vivere l'anarchia. Essendo tutto ciòche è esterno al singolo qualcosa di accessorio, è prima di tutto sul piano individuale che questa si realizza.
Si può obiettare che una posizione di questo tipo potrebbe portare a fanatismo, alla creazione di un militante con il pensiero monomaniaco dell'anarchia, da realizzare sempre e in ogni istante. Tutt'altro. Anarchia significa innanzitutto piena libertà dell'individuo, una sua completa facoltà di darsi norme e regole, a suo proprio e insindacabile giudizio. Una volta inteso questo, è impossibile che si resti bloccati nel fanatismo, perché l'individuo orienta la propria condotta non verso l'ideale anarchico, ma verso ciò che più si addice al suo temperamento, in modo spontaneo e rilassato, con scarsa o nulla considerazione per ciò che altri potrebbero obiettare al riguardo. Unica regola da tenere presente per continuare a chiamarsi anarchici è il rispetto di un principio basilare: “non essere né schiavi né padroni di nessuno”. Vivere senza autorità significa infatti anche essere allergici all'imporla agli altri.


Iniziazione contro educazione
Ma se il frutto del vivere anarchico non è per prima cosa una nuova società, che motivo ha l'individualista di affannarsi a vivere da anarchico e ribelle? La risposta è semplice ed eretica al contempo. L'individualista anarchico vive così perché così gli piace, perché ha capito che solo una vita priva di autorità val la pena di essere vissuta. Armand considera l'obiettivo dell'esistenza il vivere stesso, senza alcun rimpianto verso doveri o ideali: «Vivere per vivere, per godere aspramente, profondamente, di tutto ciò che offre la vita, per sorseggiare fino all'ultimo la coppa di delizie e di sorprese che la vita tende a chiunque acquista coscienza del proprio essere [...] La vita non può essere bella da vivere se non per chi ha compiuto lo sforzo per vivere la sua vita. La vita non è bella, d'altronde, che considerata individualmente»2.
Ma per Armand si ferma tutto all'individuo? Sì e no. Egli afferma infatti che l'anarchico cerca i suoi simili perché con essi può trovare sintonia. Inoltre, è inutile nasconderselo, è impossibile che le conquiste del singolo siano sufficienti per farlo vivere pienamente in modo libero e vitale. C'è bisogno che anche altri lo accompagnino e condividano con lui lotte e pensieri. Da qui la necessità dell'iniziazione individualista, concetto affatto diverso da quello di educazione. Secondo Armand l'educazione - così come è comunemente intesa - porta con sé una relazione di dominio e di potere: educare significa obbligare un altro a capire o ad imparare qualcosa. La scuola educa l'alunno, l'esercito il soldato, i genitori i figli, la chiesa i fedeli, lo stato i cittadini, ma quanto ognuno di questi soggetti può dire di aver scelto di apprendere?
L'iniziazione invece ha il vantaggio di garantire da ogni imbroglio, non essendo fondamentale per l'individualista l'opera di proselitismo, che è invece necessaria all'educazione. L'iniziazione è così uno svelarsi della realtà, un invito all'apprendimento, che viene proseguito e continuato solo per volontà di chi ascolta. Un foglietto, un volantino, un articolo, una conversazione privata, ecco ciò che dà il via a una presa di coscienza individualista anarchica. L'iniziatore strappa i veli alla realtà, fa intravedere la grettezza di un'esistenza tutta giocata sul denaro o su bisogni indotti. In un certo senso, l'iniziatore dà solo il La al processo, riaccende pensieri lasciati a metà. Tocca poi al singolo fare il resto, con un processo di emancipazione in gran parte autodidatta.


Reciprocità
Una volta creato un gruppo di affinità, Armand consiglia che i rapporti (sociali, affettivi, economici, ecc) si regolino secondo il metodo della reciprocità: «Esso è assai semplice da esporre [...]. In cambio del prodotto del tuo sforzo io ti offro il mio. Tu lo ricevi e noi siamo pari. Al contrario [...], non lo ritieni equivalente a ciò che tu dai: in questo caso serbiamo ciascuno il nostro e cerchiamo altrove qualcuno col quale poterci al meglio accordare».3
Attenzione però che questo metodo della reciprocità non va inteso come un semplice do ut des, occhio per occhio dente per dente. Posso anche scegliere di donare qualcosa senza aspettarmi altro che la gioia del ricevente, l'importante è che io stesso sia soddisfatto dello scambio, di qualsiasi natura esso sia.
Il pensiero di Armand è tutt'altro che di rapida attuazione, impostato com'è sul singolo e su un rapporto uno a uno. Inoltre potrebbe prestarsi facilmente a distorsioni ed abusi. Armand non li previene né si impone al riguardo. A ognuno la scelta, per esempio, di non far degenerare la reciprocità in una brutale legge del taglione, o l'individualismo in egoismo sfrenato.
Inoltre, se c'è qualcosa che colpisce nelle pagine di Armand è la gentilezza del tono, la volontà di non imporsi, la necessità di correggersi, tutte qualità che fanno intendere come una buona applicazione dei suoi consigli sia lasciata alla responsabilità del singolo, in piena libertà. Si nota in lui l'assenza di retorica (al massimo si riscontrano nelle sue pagine un eccesso di lirismo e di romanzesco), così tipica dei pensatori individualisti, dal capostipite Stirner fino al nostrano Renzo Novatore: questi ultimi gridano le loro verità, sono sempre sulla difensiva, sempre in attesa di un attacco, al limite della psicosi. Armand invece - che pure di attacchi in vita sua ne aveva subiti parecchi - cerca sempre il dialogo col lettore, valuta, soppesa, e per primo sottolinea i punti deboli del suo pensiero (ci sono interi capitoli delle sue opere dedicati a questo). Non spetta a lui imporsi e affermarsi ad ogni costo, tanto più che questo negherebbe ogni suo presupposto. La scelta è nella mani di ognuno, per cantare fuori dal coro le sue parole sono solo la prima nota.

Stefano Ferrario



Note

  1. Emile Armand, Iniziazione individualista anarchica, Firenze, Amici italiani di Armand, 1956, pag. 89.
  2. Ivi, pag. 132.
  3. Ivi, pag. 319.


3 commenti:

  1. mi pare evidente l'abbaglio di Stefano Ferrario. Probabilmente dietro tale abbaglio si nasconde l'intento denigratorio nei confronti dell'individualismo. Egli dapprima afferma' Da qui la necessità dell'iniziazione individualista, concetto affatto diverso da quello di educazione' poi, con le parole dello stesso Armand, chiarisce la profonda differenza tra educazione ed iniziazione.

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  2. Ed ancora. quando nell'introduzione apparsa su ''Rivista anarchica del febbraio 2013'':egli afferma:
    '' Lontano mille miglia dal “superomismo” che ha caratterizzato altri individualisti estranei e antagonisti alla tradizione sociale e socialista del movimento anarchico. ''
    Notoriamente è l'individualismo di Armand ad essere lontano mille miglia dall'anarchismo delle origini socialiste e lo stesso armand affermava: ''Non troverete due individualisti che la pensino allo stesso modo''

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  3. Esattamente, erano gli anti-organizzatori, da Paolo Schicchi ad Alfredo Bonanno, che praticavano l'individualismo in seno al movimento anarchico come metodo di condotta contro ogni possibile degenerazione burocratica ed autoritaria, i cui principi fondamentali, comunque, restano sempre quelli socialisti e comunisti professati dal resto del movimento.

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