venerdì 1 novembre 2013

RICORDI PACATI DI UN MEZZO SECOLO




lo non dispongo, né posseggo nessun giornale, nessun documento che si riferisca al processo di Amiens nel marzo 1905. Da sentito dire, il giornale L’Aurore avrebbe dato il resoconto dei dibattiti senza il solito astio dei giornali detti di informazione. Ho preso questo apprezzamento dal mio difensore.
Alla vigilia della commutazione della mia pena (lavori forzati commutati a cinque anni di reclusione; poi in seguito commutati a due anni), il giornale Le Quotidien (nel 1924 o 1925) e il giornale Le Peuple pubblicano alcuni articoli in favore della mia liberazione. Più recentemente, il 18 maggio 1935, Alexis Danan nella rivista Voilà fece un reportage favorevole. E il dispotico Michel, nella rivista Confessions del 15 aprile 1937 ne fece un altro molto romanzato.
La mia origine sociale è delle più modeste. Figlio di operai che, in seguito, divennero commercianti al dettaglio: panetteria. Scolaro presso i frati delle scuole cristiane fino all’età di 11 anni. Licenza elementare con la menzione “passabile”. Verso il Natale 1890, mentre giocavo a biglie sulla piazza Saint-Michel, un signore carico di pacchetti mi pregò di aiutarlo. Strada facendo mi faceva delle domande, mi chiedeva che professione volessi fare. “Marinaio”, gli dissi. Arrivati a casa sua mi offrì una mancia che rifiutai. Mi dette allora il suo biglietto da visita dicendomi di invitare i miei genitori ad andarlo a trovare nel suo ufficio. Era il Sig. Martino, capitano di armamento alla Freycinet. Fu così che il 22 gennaio 1891 mi imbarcai come mozzo a bordo del Thibet per un viaggio di lungo corso sulla costa occidentale africana. In seguito navigai come apprendista nelle Compagnie marittime, poi ad Axel e Buch, poi a Worms e Jasse e infine al servizio del pilotaggio a Marsiglia. Lasciai la navigazione per motivi di salute. Mia madre mi mise allora presso un tipografo come apprendista.
Parentesi.
C’erano nella mia famiglia, oltre mio padre, mia madre, la mia nonna materna, un giovanotto di
quattro anni più grande di me del quale mio padre era sostituto tutore. Lavorava come tornitore di metalli ai cantieri Forges. Era anarchico. Io andavo con lui alle serate libertarie, alle conferenze. Mi fece leggere parecchi opuscoli di P. Kropotkine, E. Reclus, Malatesta ecc. Questa iniziazione alla dottrina anarchica, che era in qualche modo intermittente mentre navigavo, divenne più assidua quando stavo a terra. Fu all’uscita da queste riunioni che conobbi Escartefigue alias Jouvarin, suo cognato Romani e Rappalo con il quale facemmo pubblicare un giornale di propaganda, l’Agitateur (l’Agitatore), la cui pubblicazione fu effimera per mancanza di fondi. Fiducioso di natura, (soltanto verso la cinquantina mi liberai da questo difetto) mi lasciai manovrare da un informatore di polizia che, dopo avermi suggerito di confezionare un esplosivo e dopo avermi fornito il necessario, mi denunciò. Fu così che mi beccai sei mesi di prigione e 50 franchi di multa per fabbricazione di esplosivi.
Alla mia liberazione mia nonna materna (sposata Berthou, nata Dragoul), per mezzo di suo fratello che era presidente del collegio forense, mi fece impiegare come addetto all'ufficio presso Faure e Gautier, fondatori di piombo agli Chartreux. Non ci restai a lungo. Avvisata dalla polizia speciale, la direzione, alla quale ero stato presentato come un anarchico molto pericoloso, mi licenziò. I miei genitori avevano l’ambizione di farmi diventare capitano di lungo corso. Essendo migliorata la mia salute, si informarono presso l’economo della Scuola di commercio sui requisiti per l’internato. Durante la mia navigazione avevo un po’ studiato come autodidatta La Conoscenza del tempo ed altre opere idrografiche. Ma il programma scolastico che mi fu presentato mi scoraggiò. Mi ritenevo inadatto a poterlo seguire.
Un compagno farmacista mi consigliò di preparare Fattestato di grammatica (non essendo diplomato) allo scopo di poter ottenere il diploma di seconda classe. E, a questo scopo, mi fece entrare nella farmacia dove era impiegato come preparatore, per fare pratica. Nuova immissione della polizia speciale e fui licenziato. A tutte queste angherie, si deve aggiungere che ogni quindici giorni, a volte ogni settimana, la polizia speciale, per ordine del prefetto, faceva delle perquisizioni a casa dei miei genitori dove io avevo la residenza. Tutto ciò mi inasprì, mi disgustò. Con la collaborazione di tre associati (un commissario di polizia, due agenti e un segretario -io ero il segretario-), facemmo una “perquisizione” in un ufficio del monte di pietà a Marsiglia. Passai in seguito in Spagna (Barcellona) poi in Italia (Torino e Milano). Ritornato a Tolone, fui arrestato denunciato da uno stronzo che avevo minacciato. Trasferito ad Aix-en- Provence fui internato nel manicomio di Mont-Perril per osservazioni, ma evasi.
Chiudiamo la parentesi.
Fui dunque iniziato alla dottrina anarchica molto giovane, tra i 13 e i 14 anni. Ma fino al giorno della mia condanna niente mi predisponeva all’illegalismo. In tutta la mia vita sono stato e sono
ancora di una rigorosa onestà. Certo, da parte di uno scassinatore in pensione questa affermazione può sembrare strana. Precisiamo. Così come in guerra il cittadino più conformista ritiene buono, bene, normale, onesto liberarsi di un nemico, allo stesso modo nella guerra sociale il ribelle adotta la stessa morale. Morale vecchia come il mondo che la storia rivela all’umanità. Nel processo di Amiens ho dichiarato: “Se avessi creduto di fare del male, non lo avrei fatto. Mi ritenevo un agente terapeutico del corpo sociale”.
La truffa del monte di pietà non fu, nella mia mente, che una risposta alle persecuzioni della polizia. Dopo la mia evasione da Aix-en-Provence fino al 22 aprile 1903 fu diverso. In quel momento ricercato, braccato non potevo arrendermi costituendomi prigioniero (soluzione che non mi sfiorò neppure) o a ribellarmi contro l’ordine sociale.

Ecco la decisione che presi. Mi circondai di collaboratori anarchici, mi munì di attrezzature molto perfezionate, finanziai una fonderia di oro per evitare la ricettazione, e, dopo aver esposto il mio programma ai miei amici, passammo all’azione. Questo programma, che mi sembra molto semplicista adesso, visto sotto l’aspetto delle responsabilità sociali, era il seguente. Ripristino individuale di ogni parassita sociale: preti, militari, giudici, ecc., (verso i 12 anni avevo letto Quatrevingt- treize di V IIugo). E’ così che medici, architetti, letterati ecc., erano esclusi dalla lista dei nostri clienti. Inoltre, salvo in caso di legittima difesa, l’omicidio era vietato. Questo spiega, del resto, l’innovazione di chiudere tutte le uscite di un edificio designato ad essere “visitato”, in modo da essere certi che non ci fosse nessuno. Percorremmo così tutta la Francia, il Belgio, una parte dell’Italia. Le nostre spese di spostamenti, di vestiario, di attrezzature erano pesanti. Tuttavia il 10% del bottino era riservato alle opere di propaganda. Da parte mia sono sobrio di natura, quasi ascetico. In seguito ci furono delle divergenze tra di noi a proposito di un prelievo di bottino per le opere di propaganda. Con il pretesto di individualismo, alcuni rifiutarono di parteciparvi. In conclusione, a queste oziose discussioni, decidemmo che ciascuno agisse a piacimento.
Dal 1899 al 1903 abitai a Parigi. Quando non ero in giro, andavo qualche volta alle riunioni del sabato che si tenevano, a piccoli comitati, al Libertaire, Via d’Orsel, 15. Incontravo là la maggior parte dei militanti anarchici dell’epoca che, ad eccezione di due, ignoravano chi fossi e che cosa facessi. Il claudicante (illeggibile), allora giovane, ci veniva alcune volte. La sera andavo anche da Mugniez, all’angolo di rue Lepic e del boulevard Rochechouart. L’ingresso del café era riservata al gruppo di Azione francese: Pujo, Daudet, ecc., mentre nel salone in fondo si riunivano Clovis Hugues, S. Faure, Aristide Briand (allora segretario generale del partito socialista), Liard, Courtois, Broussouloux (figlio dell’ex prefetto di polizia Andrieux), critico d’arte sul Temps che consultavo talvolta sul valore di una gouache, di un quadretto. Mi spacciavo allora per mediatore antiquario. Naturalmente il genero di Clauvis Hugues ignorava assolutamente la provenienza degli oggetti che sottoponevo alla sua perizia.
Ho cessato questa lotta a causa del mio arresto. Ma l’ho ripresa in carcere sotto un’altra forma e con altri mezzi. Io non credo che l’illegalismo possa liberare l’individuo nella società odierna. Se con questo mezzo riesce a liberarsi di qualche schiavitù, l’ineguaglianza della lotta gliene suscita altre ancora più pesanti, con, alla fine, la perdita della libertà, della più piccola libertà di cui godeva e, qualche volta, della vita. In fondo l’illegalismo considerato come atto di ribellione è più questione di temperamento che di dottrina. Ecco perché non può avere nessun effetto sulle masse lavorative. Voglio dire un buon effetto educativo.

Alexandre Jacob

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