giovedì 12 dicembre 2013

Il Candidato di “la feuille”



ALLE URNE!

Il periodo elettorale è aperto: corse campestri e concerti, frasi e fraseggiatori - il periodo! - periodo roboante in cui scorrono tutti i motivetti ben noti.
Le note gravi dei contrabbassi opportunisti, la voce dei pifferi socialisti, il cappello cinese dei radicali che si suona con piedi e mani, dirigono l’accattivante frastuono che fa rinnovare i mandati.
È il preludio alla grande orchestra - canto e ricatti, frottole… Si suona il Triangolo e la Croce.
Tutte le promesse suonano in campo ed il tamburo batte per la città. La pelle d’asino antisemita riunisce i figli della patria: figli di truppa e figli da coro.
Nei collegi elettorali, carillon, conservatori, l’accordo è più sconcertante: quando Marcel Sembat dà il La, André Vervoort lancia il Do.
Benché turbati, gli elettori si apprestano a riprendere il ritornello. Sotto la bacchetta dei direttori d’orchestra tutti i votaioli si metteranno a cantare. Pazienza se non cantano bene, Candidati! Ai vostri tromboni. Popolo sovrano! Attenzione… Rinnoveremo il parlamento. Uno, due! Uno, due! Popolo! Alle urne!... Sinistra, destra! È per la Repubblica! Uno, due! Sinistra, destra! A misura…
E voi, gli astensionisti! Quelli che non marciano al passo, al dito, con gli sguardacci e con il bastone - fate attenzione! La misura non vale nulla…

Semplici Riserve

Avevo sempre creduto che l’astensione era il linguaggio muto che conveniva servirsi per indicare il proprio disprezzo per le leggi e i loro creatori.
Votare, mi dicevo, è rendersi complici. Ci si assume la propria parte per le decisioni prese. Le si ratifica anticipatamente. Si fa parte della banda e della truppa.
Come rifiutarsi di inchinarsi davanti alla Cosa legiferata se si accetta il principio della legge brutale del numero?
Non votando, al contrario, sembra perfettamente logico non sottomettersi mai, resistere, vivere in rivolta.
Non si è firmato il contratto.
Non votando, si resta se stessi. Si vive come un uomo che nessun Pinco Pallino deve vantarsi di rappresentare.
Si disdegna Tortallacrema.
Soltanto così si è sovrani, perché non si è cancellato il proprio diritto, perché non si è delegato nessuno. Si è padroni del proprio pensiero, coscienti di un’azione diretta.
Si possono disdegnare le chiacchiere.
Si evita l’idiozia di far affermare il parlamentarismo e di eleggere, allo stesso tempo, i membri del parlamento.
Evito di insistere. Si perde fede nel popolo stesso: gli ultimi elettori sghignazzano.
Il contadino rinuncia a implorare. L’operaio sogna ad altri mezzi…
Nulla di buono è uscito dall’Urna.
Mai, a causa della miseria, vi sono stati così tanti suicidi. Cosa si è fatto contro la disoccupazione? Cosa non si è fatto contro il pensiero? Leggi eccezionali, leggi scellerate…
Presto, più del suffragio, sarà lo schifo ad essere universale.
Considero prudente decretare presto il famoso voto obbligatorio. Senza ciò, nel ventesimo secolo, presumo che i funzionari sarebbero i soli a risultare come elettori.
Voterebbe, in ordine, lo stato maggiore.
Voterebbero anche i magistrati, gli assistenti e gli agenti di polizia.
L’Urna, da cui nulla di buono esce, diverrebbe il vaso di Pandora - il gendarme.

Candidature e Candidature

Queste osservazioni correnti e qualche altra ancora erano bastate, sinora, ad allontanarmi dal piattino dell’elemosina in cui gli eletti trovano venticinque franchi. Non avevo fatto ad alcun candidato l’elemosina richiesta di una scheda elettorale.
Avevo torto.
Ecco che si parla, molto a proposito, delle candidature dette di protesta.
Non si tratta più di nominare dei politici; i filosofi entrano in lizza [1]. L’orizzonte si apre verso il pane gratuito. Si manifesta per l’amnistia. Ci si pronuncia contro gli ebrei, si plebiscita per Dreyfus.
Eccole, le idee generali!
È finito il tempo dei programmi. Millerand mostra delle piattaforme. Non è più questione di trespoli…
La verità è in marcia. Se è stanca, prima del traguardo è bene offrirle una sedia.
Sembra che si stia per eleggere un deputato; ma è l’Idea che sta per sedersi.

Il Dovere dei Buoni Francesi

Arriva un momento in cui si capisce l’opera che potrebbe compiere un parlamento veramente democratico.
Un’ora risuonante - in genere quella in cui si pone la propria candidatura - un’ora risuonante, argentina, in cui si avverte l’urgenza della politica alla camera dei deputati. Vi sono sicuramente molte cosa da fare in seno alla camera - quel seno che non si sapeva vedere.
Dall’alto della tribuna parlamentare, le parole acquisiscono in portata. Si ripercuotono sin nei più piccoli borghi del paese.
Si commentano all’estero.
Gli stranieri spiano. Non dimentichiamolo. I buoni Francesi hanno un dovere:
Eleggere un parlamento degno di essi.

Degli Uomini

Allora si agita il problema di una rappresentanza veramente nazionale. Ma quali uomini vi sono qualificati? Quali cittadini bisogna scegliere?
Cerco tra i più grandi.
Millevoye, Dérouléde esitano… E Rochefort, meno avena selvatica, si dedica alla vita di famiglia.
C’è malgrado tutto Edouard Drumond, inflessibile come ai giovani tempi; ma il Maestro ci è sottratto da dei Cabili che non votano. Cosa è rimasto a Marsiglia in cui cantavano per lui i poeti:

I tuoi discepoli formati alla scuola del Maestro,
Non ignorano la devozione;
Su di essi nessun neo potrà mai nascere:
L’hanno promesso in un giuramento.

Ah! Questa promessa… ah! Questi nei… Drumond è partito lo stesso verso inquietanti Casbah.
Già l’Africa acclama il Maestro di cui tutte le donne baciano la mano. Ma sarà deputato di Algeri? È in arabo che si acclama, in spagnolo, in maltese. Vi sono dei brindisi italiani. Ve ne sono altri in maccheronico. Non si sa ancora esattamente cosa pensano gli elettori.
Tuttavia si può sperare. Il tempo è bello. La fisionomia del Maestro, la sua figura caratteristica, impressiona favorevolmente gli antisemiti chiaroveggenti. Sin dal suo primo apparire si solleva un clamore: Morte agli Ebrei!...
L’eco risponde: Viva Drumond!
Non sono che rose e fiori, banchetti in onore del Maestro. I marabutti, familiarmente, lo chiamano Sidi Cuscus.

Il più degno

La conquista di alcuni feudi elettorali da questi o quei capi di partito sarebbe d’altronde insufficiente per modificare la situazione. Si sogna piuttosto una specie di boulangismo che permetterebbe alle persone oneste di manifestare nel contempo, e senza la minima ambiguità, su tutta la superficie del paese. Si vorrebbe che un grido popolare riassumesse le aspirazioni, le rabbie, o, almeno, il disprezzo di una nazione di cui ci si è troppo beffati…
È impregnato di questo pensiero che siamo andati, nel suo rifugio, a far visita ad un Maestro a cui nessuno avrebbe mai pensato, un modesto a cui nessuno negherà il suo esatto significato.
Oggi, ho l’onore di presentare questo maestro al popolo.
Lo si chiama Mastro Aliboron [2]. Tutto ciò sia preso in considerazione. L’asino per cui sollecito il suffragio dei miei concittadini è un compare dei più graditi, un asino leale e ben ferrato. Pelo curato e fine garretto, bella voce.
Un asino, vi dico - quattro zampe e due grandi orecchie. Un asino che raglia e deve pensare, vedendo brulicare i bipedi,

    … i giudici, gli ufficiali giudiziari,
I clericali, i procuratori, i sergenti, i cancellieri:
Parola mia, non più di noi, l’uomo non è che una bestia!

Un asino non troppo intelligente, un saggio che non beve che acqua e indietreggerebbe di fronte ad un calice di vino.
A parte questo, il tipo compiuto di un deputato maggioritario.

Votate per lui!

Non mi piace adulare il popolo. Ecco il candidato che si merita. A Roma, ai tempi della decadenza, la plebe acclamava un cavallo come console.
L’asinello deve trionfare nella repubblica opportunista.
Non ho parlato di boulangismo? In bene! Sì, un boulangismo, ma senza generale con il pennacchio, senza cavallo nero decorativo:

È un asino, un asino, un asino,
È un asino che ci occorre.

E l’asino è pronto. Sta per correre alle riunioni. Lo si vedrà per le strade di Parigi. I suoi amici spiegheranno il suo programma e gli astensionisti stessi, per una volta, andranno a votare.
È un asino bianco.
Si chiama Nullo.
Le schede bianche, le schede annullate, conteranno infine - e saranno contate…
Da subito grandi manifesti illustreranno sui muri il manifesto del candidato.
Un comitato si costituisce: degli scrittori, degli artisti, qualche oratore dei club. Preziose collaborazioni sono state acquisite. Che i Filistei diffidino: l’Asino trotta verso palazzo Borbone.

Votate per Lui!!

Un regime si sotterra con allegria.
Sarebbe ingannarsi, in parte, credere ad uno scherzo, a qualche burla di Montmartre.
Reazionari, conservatori, socialisti disingannati, tutti gli scoraggiati di questa repubblica costituiscono una maggioranza che può, sorridendo, esprimersi.
Bisogna votare per l’asino Nullo [3].
Non facciamoci illusioni: si tenterà di impedire al nostro eletto di raggiungere la scuderia del quai d’Orsay [4]. Lo si perseguiterà forse. Il deposito comunale lo aspetta sicuramente.
Ma vedremo l’autorità di cui gode di cui godrà la nuova Camera, quando, all’oratore in preda all’effetto da tribuna, qualcuno dalle gallerie griderà:
- Basta! Chiedo la parola per il vostro collega l’Asino bianco.

Zo d'Axa




Note:
[1] In Francese la parola lice, oltre al significato di lizza può significare anche cagna da caccia, (sarà un caso?).

[2] Aliboron è il nome che la tradizione letteraria francese associa all'asino ed è stato reso celebre dalle favole di Jean de la Fontaine

[3] L'âne nul, omofoneticamente suona allo stesso modo di annulle, cioè annullamento. L'asino bianco, quindi, era un invito ad andare a votare ed annullare le schede, visto che, giustamente, come ogni persona onesta sa, dopo ogni elezione le cose rimangono tali e quali se non peggio in quanto esse mostrano la docilità del gregge elettorale a farsi prenderer in giro ed obedire compatto.

[4] Si tratta ovviamente della celebre "stalla del Parlamento" parigina.

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