sabato 1 febbraio 2014

ZONA MORTA



Anarchici che citano la costituzione

Anarchisti che si rifanno alle leggi dello Stato

è cercare verità già scritte e morte 

come epitaffi su lapidi di pietra

Ma la rogna è nella melma 

e qui dimora e qui si infogna

Tra le mezze verità poi 

c'è fame di potere 

e chi resta a digiuno lo rimane 

nella pancia e nel cervello

pronto a divorare nuovamente

sbavando su ogni lisca ed ogni seme

defecando codardia nella sua stessa anima

Restare a guardare o andarsene

spegnere il fuoco

o buttare benzina sul fuoco

Tutto sembra un reality

un film senza trama

Un nano secondo

e il mondo vero si allontana 

divorato da viltà e mediocrità

Ma la polvere incrosta le sinapsi

e certa gente proprio

non vuole capire

Zona morta

tra tasti digitali



Chiù Pac

domenica 26 gennaio 2014

L'ORA SILENZIOSA



Che m'accadde, amici? Voi mi vedete turbato, ansioso di partire, obbediente contro la mia volontà, pronto ad andarmene – ahimè, andarmene lontano da voi!
Sì, ancora una volta Zarathustra deve tornare alla sua solitudine: ma a malincuore ritorna, questa volta, l'orso nella sua tana!
Che m'accadde? Chi impone ciò? Ahimè, così vuole la mia adirata signora! – vi ho già detto il suo nome?
Ieri sull'imbrunire, mi parlò l'ora mia più silente: questo è il nome della mia terribile signora.
E così avvenne – giacchè a voi debbo dir tutto, affinchè non s'indurisca il cuor vostro contro colui che deve improvvisamente partire!
Conoscete voi lo sgomento di colui che sta per addormentarsi?
Egli si spaventa fino alle dita dei piedi dal sentire mancare la terra ed incominciare il sogno.
Questo vi narro quale parabola. Ieri nell'ora più silenziosa mi mancò la terra: cominciò il sogno.
La sfera si mosse, l'orologio della mia vita prese fiato, mai ebbi intorno più profonda quiete: così n'ebbe paura il mio cuore.
Poi sentii parlarmi senza voce: «Lo sai tu, Zarathustra?».
Ed io gridai di spavento a quel sussurro, e impallidii: ma tacqui.
E di nuovo sentii parlarmi senza voce: «Tu lo sai Zarathustra, ma non lo dici!».
E risposi infine con arroganza: «Sì, lo so, ma non voglio dirlo!»
E di nuovo mi si parlò senza voce: «Tu non vuoi, Zarathustra?
È proprio vero? Non nasconderti dietro il tuo dispetto!».
E io piansi e tremai come un bambino, e dissi: «Ah, lo vorrei, ma come lo posso? Non obbligarmi a ciò! È superiore alla mia forza!».
E di nuovo si parlò senza voce: «Che m'importa di te, Zarathustra? Dì la tua parola e spezzati!».
Ed io risposi: «Ma è proprio la mia parola? Chi son io? Io attendo uno più degno di me; io non son degno d'essere infranto da quella parola».
E di nuovo mi si parlò senza voce: «Che importa di te? Tu non sei ancora abbastanza umile. L'umiltà ha pelle più dura».
E io risposi: «Che cosa non ha già sopportato la pelle della mia umiltà? Dimoro ai piedi della mia altezza: quanto sono alte le mie sommità? Nessuno me lo disse ancora. Ma io conosco bene le mie valli».
Allora fu detto ancora a me, senza voce: «Oh, Zarathustra, colui che ha da muovere le montagne, muove anche le pianure e le valli».
E io risposi: «Non trasportò ancora, la mia parola, alcun monte, e ciò che dissi, ancor non raggiunse gli uomini.
Io andai, è vero, tra gli uomini, ma non li toccai».
Un'altra volta mi si parlò senza voce: «Che ne sai tu di ciò? La rugiada cade sull'erba quando la notte è più silenziosa».
E risposi: «Essi mi schernirono quando trovai la mia strada e la percorsi, e in verità tremavano allora i miei piedi.
E così mi dissero: – Tu hai smarrito la via, ora non saprai più neppur camminare!».
E di nuovo mi si parlò senza voce: «Che importa del loro scherno! Tu sei uno che disimparò ad obbedire: devi ora comandare!
Non sai tu, chi è più necessario di tutti? Colui che comanda grandi cose.
Operare egregie cose è difficile: ma è più difficile il comandarle.
Questo è il tuo più imperdonabile fallo: tu hai la potenza e non vuoi dominare».
E risposi: «Mi manca la voce del leone per comandare».
E di nuovo come un bisbiglio fu detto: «Le più tranquille parole sono quelle che portan tempesta. I pensieri che giungono su ali di colombe governano il mondo.
O Zarathustra, tu devi camminare come l'ombra di ciò che deve giungere: così tu comanderai, e procederai comandando».
Risposi: «Io mi vergogno».
Allora di nuovo mi si parlò senza voce: «Tu devi tornare bambino e senza pudore.
L'orgoglio della gioventù è ancora in te: tardi ti venne la giovinezza: ma chi vuol ridivenire bambino, deve saper superare anche la sua giovinezza».
E io meditai a lungo e tremai. Ripetei finalmente ciò che avevo detto prima: «Non voglio».
Allora mi circondarono scrosci di risa. Ahimè, quanto mi dilaniaron le viscere quelle risa, e come mi squarciarono il cuore!
E per l'ultima volta mi si parlò senza voce: «Oh, Zarathustra, i tuoi frutti sono maturi, ma tu non sei per essi maturo!
Devi perciò ritornare alla tua solitudine: giacchè devi ancora divenire maturo».
E di nuovo ci fu come un riso e una fuga: poi mi si fece intorno silenzio, quasi un doppio silenzio. Ma io giacevo al suolo, e il sudore mi bagnava le membra.
– Voi udiste ora tutto, e perchè debba fare ritorno alla mia solitudine. Nulla io tacqui, amici miei.
Ma questo pure imparaste da me, che ancora, sempre, sono il più discreto fra gli uomini – e voglio essere tale!
Oh, miei amici! Avrei a dirvi ancora qualcosa, qualcosa a donarvi! Perchè non ve la dò? Son forse avaro?...

Quando Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, lo assalì un violento dolore per la prossima partenza dagli amici; così che pianse dirottamente; e nessuno riuscì a confortarlo. E durante la notte egli se ne andò, solo, abbandonando gli amici.

Così parlò Zarathustra 
F. Nietzsche